Riceviamo e condividiamo questa emozionante letterina scritta di pancia da Daniele, co-fondatore del laboratorio di Kombucha Fervere, in occasione della sua partecipazione al Kombucha Summit di Berlino. Destinatario? Mamma PIN!
Ciao mamma PIN,
è da un po’ che non mi faccio sentire, lo so. Da quando si è chiuso il progetto siamo stati presi dalla rendicontazione e da tante altre belle cose che stanno succedendo qui a Fervere.
Per fortuna –anche se la fortuna poco centra e credo sia stato molto più importante l’impegno messo in questi 18 mesi – quello che è iniziato come un gioco sta diventando un progetto sempre più impegnativo, faticoso e divertente, che ci regala il brivido di dover affrontare costantemente nuove sfide.
Le novità sarebbero tante e non basterebbe una lettera per scriverle tutte, e per questo che oggi voglio raccontarti come è andata a Berlino in questi giorni appena trascorsi. Ricordi, ti avevo scritto su WhatsApp che saremmo andati al Kombucha Summit, il primo evento dedicato ai produttori di kombucha – e se ti sei scordata cosa sia il kombucha, eccoti la nostra guida sul kombucha in Europa.
È stata senza ombra di dubbio di un’esperienza molto positiva, che ci ha permesso di accrescere la nostra consapevolezza sul mondo del kombucha: dalla produzione, al consumo, al mercato. Erano infatti presenti un centinaio di altri produttori provenienti da tutta Europa, dal Portogallo alla Lituania, e appassionati ed esperti da Stati Uniti, Canada, Sud America e Australia.
In 48 ore di conferenza abbiamo potuto conoscere, assaggiare e stringere relazioni con chi come noi, prima o dopo, ha avviato la propria produzione di kombucha.
Questo è importante perchè finora non abbiamo mai avuto modo di confrontarci realmente con nulla, rischiando di essere autoreferenziali e poco realistici. Lo scenario che ne è venuto fuori è infatti stato differente da quello che avevamo immaginato in questi mesi. E ci deve spingere a fare delle riflessioni su ciò che Fervere è e vuole diventare, affinchè possa continuare a essere un progetto in crescita, che ci dia soddisfazioni e ci permetta di divertirci facendo del buon kombucha.
Ma facciamo un passo indietro. Innanzitutto l’evento è stato davvero ben organizzato e l’affluenza è stata importante. C’erano infatti oltre 250 partecipanti tra produttori e appassionati da tutto il mondo (prevalentemente Europa). Uno dei primi talk ha fatto luce sullo stato del mercato del kombucha in Europa, ponendo l’accento su quanto questo trend sia in crescita e su come in alcune nazioni (Inghilterra in primis) la concorrenza cominci a essere forte. Grandi aziende americane, come GT’s Kombucha, si sono affacciate al mercato europeo e alcune realtà europee stanno crescendo in maniera molto rapida.
Questo ci ha permesso di capire che in Europa ci sono tante realtà che da piccola produzione artigianale stanno diventando vere e proprie industrie con decine di migliaia di litri di kombucha prodotti ogni mese. Parallelamente al Kombucha Summit sono però emerse realtà più simili alla nostra, cara mamma PIN, che hanno obiettivi diversi e che vogliono puntare su un kombucha artigianale, tradizionale e di qualità. Che oltre ad essere buono abbia proprietà benefiche per il nostro organismo.
Ci è sembrato quindi evidente che si stia creando uno spaccato tra queste due maniere di concepire il kombucha.
Durante il summit abbiamo potuto anche degustare decine di kombucha diversi portati dai tanti produttori. Purtroppo i nostri non sono mai arrivati e quindi non abbiamo potuto avere feedback.
Ne è emersa una varietà di gusti, bottiglie, colori, e tipologie veramente molto vasta. Ma molti (almeno l’80% di quelli provati) accomunati da un gusto abbastanza dolce e con evidente addizione di co2. Probabilmente per intercettare il gusto del mercato, già abituato a bevande molto gasate e zuccherine.
È stato per noi importante vedere susseguirsi sul palco del Kombucha Summit produttori, spesso nostri coetanei, che hanno raccontato la loro esperienza, ponendo l’accendo su come siano riusciti a scalare la produzione e sui canali adottati per promuovere i propri prodotti.
Altri interessanti spunti sono relativi al confezionamento: molti stanno virando verso le lattine (per questioni di costo e facilità di approvvigionamento rispetto al vetro) e in tanti hanno iniziato il confezionamento nei fusti (come quelli della birra).
Oltre i talk e i momenti di confronto con altri produttori o aspiranti tali abbiamo poi potuto visitare due “kombucherie”. La prima è stata ManuTee, un’azienda che commercializza tè e che da qualche anno ha iniziato la produzione di kombucha. Ora ne producono oltre 10.000 litri al mese in un impianto semi-industriale che non abbiamo visitato. La seconda è stata Barbucha.
La differenza tra le due realtà era abissale, così come quella raccontata nella prima parte di questa lettera.
La prima è ormai una kombucheria industriale, che produce un kombucha di qualità media, dolce e con aggiunta di co2, presente in supermercati e tanti locali. La seconda una piccolissima realtà che realizza kombucha di grande qualità – sicuramente i più buoni provati per i nostri gusti – che vende solo ai clienti del proprio bar.
Insomma, cara mamma PIN, è stato davvero importante per noi partecipare a questo evento. Mentre vedevo avvicendarsi sul palco i relatori spesso venivi preso da un senso di sballottolamento. Non immaginavo che in Europa ci fossero realtà così “avanti”.
Sarà importantissimo nel prossimo futuro capire che direzione vuole prendere Fervere alla luce di questa epifania.
Spero di essere riuscito a farti rivivere un po’ questo Kombucha Summit e il fermento in cui sguazziamo.
Un abbraccio forte,
il tuo Daniele Pignone, co-fondatore di Fervere.