Una chiacchierata, anche se purtroppo solo in modalità virtuale, con Laura, Giulio e Chiara ci ha permesso di capire lo stato di sviluppo di Tolò_il packaging narrativo ad oltre un anno e mezzo dalla chiusura delle attività progettuali avviate grazie all’avviso PIN. La loro è la testimonianza di come l’unione di tre architetti, con i piedi ben saldi nella terra di Capitanata e le ambizioni rivolte al mondo, possa accogliere la sfida del cambiamento e potenziare l’azione di scoperta e valorizzazione delle eccellenze.
Il 3 settembre 2019 si è chiuso il vostro progetto: è passato ormai molto più di un anno, di mezzo una pandemia mondiale e un mercato in continua evoluzione. Che bilancio fate oggi della vostra esperienza con PIN e quanto vi ha aiutato nella crescita delle competenze in senso imprenditoriale?
Il progetto Pin ha rappresentato per il nostro gruppo un momento centrale nella crescita imprenditoriale: da gruppo creativo e informale, DDuMstudio è divenuto una società. Ricordiamo ancora l’emozione di depositare il marchio e il nostro logo, o il giorno della firma dal notaio. Il PIN è stato per noi una palestra soprattutto sul lato gestionale e nell’organizzazione aziendale e ci ha concesso di creare un ramo d’azienda interamente dedicato ai servizi di progettazione e design per le piccole e medie imprese. Il progetto Tolò, infatti risponde a una domanda del territorio di riferimento, la Capitanata, e si rivolge alle imprese agroalimentari di eccellenza offrendo un servizio cucito su misura di progettazione e design dedicato attraverso la costruzione coerente di un’immagine coordinata che spazia dall’ideazione degli elementi grafici e del packaging fino alla progettazione degli spazi commerciali, espositivi e di allestimento fieristici. Tutto sempre con un occhio di rispetto riguardo i temi della sostenibilità ambientale. A settembre 2019 il nostro lavoro seguiva il trend in crescita, avviato da inizio 2019, ignaro della pandemia che da lì a pochi mesi avrebbe cambiato irreversibilmente il nostro quotidiano. Sicuramente il primo lockdown ha rappresentato una brusca frenata di arresto e una rimodulazione della tabella di marcia nella programmazione lavorativa con la cancellazione di appuntamenti importanti, quali fiere e concorsi a cui partecipiamo annualmente e alcuni contratti sospesi o annullati. Abbiamo approfittato di questo tempo “sospeso” per ripensare i nostri obiettivi e per avviare una fase di lavoro più “smart”. Grazie ad alcuni contratti con aziende sparse in tutta Italia, dal Lazio alla Lombardia al Veneto, ma anche tutte le aziende che seguiamo a livello regionale e data l’impossibilità di spostarci e di organizzare incontri fisici, abbiamo ampliato la possibilità di lavoro condiviso seppure a distanza. Un lavoro in parte più digitale, amplificato grazie all’esperienza PIN e ai servizi digitali che avevamo deciso di aumentare con il progetto (sito internet, canali social). In questo senso, il percorso PIN ha ampliato le nostre competenze nella gestione della nostra attività imprenditoriale: la capacità di adattamento, il problem solving, la gestione flessibile del lavoro, l’andamento per obiettivi. Caratteristiche necessarie soprattutto in un periodo così imprevedibile.
Quali ulteriori obiettivi avete raggiunto?
Tra gli obiettivi raggiunti sicuramente c’è quello di aver ampliato il nostro pubblico di riferimento. Come detto, siamo partiti da una domanda del nostro territorio, la Capitanata, ma già da metà progetto il nostro portafoglio clienti si è ampliato a tutto il territorio nazionale. Inoltre un altro obiettivo raggiunto, per noi importantissimo, è riuscire a trasmettere ed accompagnare i nostri clienti in tutte le fasi che un processo creativo necessita, soprattutto in termini quantitativi di tempo. Nella frenesia del quotidiano, nella società fatta per immagini connesse alla rete, si dimenticano a volte i tempi necessari all’ideazione, creazione ma anche metabolizzazione di un progetto. Per un progetto sartoriale e cucito sui bisogni di ogni azienda il fattore tempo rappresenta un valore e non un ostacolo. Sicuramente questo obiettivo è stato raggiunto grazie a una maggiore maturità raggiunta dal nostro gruppo.
Durante il vostro percorso imprenditoriale accogliete spesso collaboratori esterni e tirocinanti. Quanto questo ha influito e tuttora influisce sulla crescita della vostra azienda?
Come gruppo creativo il nostro team si è formato nel 2012, ormai quasi 9 anni fa! Naturalmente negli anni DDuM si è strutturato e abbiamo cercato di definire all’interno del gruppo dei ruoli e dei compiti, ma non per questo siamo un gruppo chiuso, tutt’altro. Siamo fermamente convinti dell’importanza della parola “contaminazione” e cerchiamo di tessere nuove relazioni, collaborazioni e contatti con altri professionisti e altre figure anche completamente lontane dal nostro lavoro. Facciamo parte di diverse organizzazioni territoriali, come l’associazione Il Sentiero dell’Anima, l’hub rurale Vazapp e la cooperativa Terra Terra, tutte organizzazioni con obiettivi e missioni differenti. Inoltre, da sempre, condividiamo il nostro spazio di lavoro con l’Artistica Pirro, officina di restauro, e abbiamo sempre immaginato le pareti del nostro studio come pareti “flessibili” e porose capaci di dilatare lo spazio e accogliere di volta in volta quante più postazioni possibili. Da tre anni abbiamo anche avviato la possibilità di attivare tirocini curriculari e post universitari presso il nostro studio e troviamo questa attività molto stimolante (abbiamo ad oggi accolto già 6 tirocinanti). Da inizio anno infatti stiamo seguendo un tirocinio curriculare totalmente in smart working con l’Università di design Alma Mater Studiorum di Bologna, sempre con la stessa Università stiamo seguendo un progetto di tesi come correlatori sul tema del food packaging, e avviato una nuova collaborazione stabile con una giovane architetto. Speriamo quindi che il gruppo DDuM possa crescere: ci siamo sempre definiti un gruppo creativo a tre teste e sei mani, ma speriamo che presto possiamo aggiungere stabilmente altre #manintelligenti nel nostro team!
Partecipare a competizioni e concorsi ma anche a mostre, vi è stato di aiuto per la promozione della vostra impresa e della vostra identità? Quali tra tutti i premi vinti per voi ha avuto maggiore importanza e perché?
Partecipare a competizioni e concorsi ci permette prima di tutto di confrontarci con lo stato dell’arte e aprirci a scenari a livello nazionale e internazionale. Inoltre è sempre interessante confrontarsi con i giudizi della critica perché ci consentono di avere una chiave di lettura della strada percorsa e delle ricerche in essere. Tra tutte le competizioni, concorsi e mostre a cui abbiamo partecipato, dal Fuorisalone di Milano a Farm Cultural Park di Favara, dalla Torino design week al premio NIB top 10 Paesaggio e Spazio Pubblico under 36, possiamo citare il concorso nazionale che premia il packaging design promosso da GraficaMetelliana, One More Pack. Nell’edizione 2018 vincemmo il primo premio nella sezione food, premio che consolidò il nostro ramo di azienda legato al packaging design a livello nazionale. Nell’occasione fu premiato il nostro primo progetto di packaging, Favole a Km0 ideato per Fulgaro Panificatori. Le parole del presidente di giuria, Lorenzo Marini, rappresentano per noi una linea da seguire come filosofia aziendale “il packaging design non è il vestito di un prodotto, ma il racconto della sua anima”. A questo premio, ne sono seguiti diversi soprattutto nell’ambito del design per l’olio, quale il premio nazionale “Le Forme dell’Olio” di Oliofficina festival a Milano che ci ha visto ricevere riconoscimenti già per tre anni consecutivi. Ai premi e alle mostre affianchiamo spesso anche inviti ad eventi e conferenze sui temi che trattiamo, spesso veniamo invitati per raccontare il nostro percorso e ogni volta il proprio racconto diventa momento di confronto e contaminazione ancora una volta.
«Crediamo nelle potenzialità dei “margini”»: in questa affermazione si concentra uno degli aspetti della vostra mission. Quanto anche per voi si è trattato di un processo di “scoperta del territorio”? È stato sfidante confrontarsi con le piccole imprese di Capitanata, coinvolgerle nell’aggiornamento digitale e aprirle al confronto con un concetto più innovativo di marketing?
Scegliere di vivere in un luogo bello ma al contempo complesso come la Capitanata pensiamo sia già esplicativo del nostro concetto di aver scelto la missione del “margine”. Dopo esperienze di studio e lavoro in grandi città, come Barcellona, Napoli e Pescara la scelta di individuare come sede operativa San Marco in Lamis rappresenta già una sfida. Quando siamo rientrati naturalmente abbiamo avviato un processo di scoperta del territorio, e le non poche curve del Gargano hanno reso l’esperienza una semi avventura. Nei nostri progetti amiamo sempre la fase esplorativa iniziale. Anche se parliamo di packaging non tralasciamo mai la fase di sopralluogo: amiamo conoscere i nostri clienti nei loro luoghi, nelle loro aziende, e non soltanto nel nostro studio. Questo ci porta a macinare tanti km e scoprire luoghi spesso lontani da tutto. Luoghi intrisi di bellezze ataviche che oramai abbiamo dimenticato. Luoghi che sono spesso ai margini ma che aspettano solo di essere raccontati tramite i loro prodotti, i loro spazi, le loro persone. E quando ci si pone in posizione di ascolto le aziende e quei luoghi rispondono: non è sempre facile, ma riusciamo a coinvolgere le piccole imprese nell’innovazione tramite il design perché lo facciamo tramite un processo condiviso e mai tramite una imposizione. Ed è così che delle bottiglie di olio riescono a volare in Giappone, delle uova sugli scaffali di Eataly, un panettone prodotto in un piccolo borgo nella sfera dei grandi maestri pasticceri.
Avete avuto modo di sviluppare collaborazioni con altri vincitori PIN?
Sin da principio abbiamo avuto delle collaborazioni con altri gruppi vincitori Pin, sia nella fase iniziale per la stesura del progetto, appunto per confrontarci sulle scelte e sugli step da intraprendere, sia da un punto di vista lavorativo come società di professionisti. Tra queste ultime citiamo la preziosa collaborazione con il gruppo Ekostè, cosmetica dalla terra, un bellissimo progetto a cui ci siamo appassionati sin da subito e per il quale abbiamo affiancato il gruppo dal principio curandone non soltanto il naming e il logo design, ma anche l’immagine coordinata e il packaging design della loro prima linea. A breve partiranno nuove interessanti collaborazioni, ad esempio con il gruppo di Gargano Made In e speriamo di intrecciare nel nostro percorso altri gruppi.
Cosa vorreste dire ad altri neo-vincitori che si apprestano ad avviare il proprio progetto in questo difficile momento storico in cui tutto attorno a noi sembra cambiato?
Ai neo vincitori, oltre a dare un grande in bocca a lupo, invitiamo a vedere l’altro lato della medaglia di questo periodo così difficile e cogliere tutti i lati positivi che il progetto PIN offre. In un momento di “stasi” il progetto potrà essere sicuramente una “bombola di ossigeno” e il momento migliore per prepararsi ai nuovi e possibili scenari post pandemia. Inoltre, dato che lo abbiamo sperimentato su noi stessi, invitiamo a non aver paura di chiedere, anche se può sembrare banale e stupido, meglio una domanda in più e un dubbio in meno! Invitiamo quindi a non aver timore a chiedere ai tutor, ai professionisti, ma anche ad altri gruppi PIN che hanno in precedenza vinto il bando! Se tutto intorno a noi è cambiato in questo ultimo periodo vorrà dire che anche noi saremo cambiati, e il cambiamento è il motore che muove le idee.